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sabato 27 settembre 2008

Cosa Vuol dire Folklore Calabrese?

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Col termine
folklore, dall'inglese folk (popolo) e lore (insieme di tradizioni) vengono definiti la cultura e quel complesso di usi e costumi, riti e credenze che erano alla base delle comunità del passato. La dura fatica dei nostri avi, le loro ansie ed aspirazioni, il sentimento religioso, le regole di comportamento valide per ogni circostanza trovano, specialmente nei proverbi, la loro codificazione.
E' nostro dovere salvare questo patrimonio culturale ed i valori etici acquisiti nei secoli prima che sia troppo tardi.
Come sostiene anche lo studioso C. Cucinotta nel suo volume "Proverbi calabresi commentati" - Edikronos - 1981, dove figura abbondantemente la saggezza antica di San Martino di Taurianova (ripresa dai "Proverbi di S. Martino" da noi pubblicati su "
Folklore della Calabria" - Anno IV n. 2\3 - aprile-sett. 1959): "Nel proverbio, più che nel canto o nel racconto, viene consapevolmente indicata la continuità con la tradizione, se è vero che l'antichi fìciaru i fatti e dassaru i ditti".
Ma anche dai canti, ed in modo particolare da quello espresso dagli innamorati, si evince che nella nostra bella Terra di Calabria l'amore nasce spontaneo e genuino come l'aria che respiriamo e il sole che ci riscalda.
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I peddaroti

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Il Gruppo Folk "I Peddaroti" nasce nel lontano 1978 a Pellaro, paesino della provincia di Reggio Calabria, per volontà di un gruppo di giovani amanti delle tradizioni Calabresi-Reggine e peddarote in genere, e colloca la propria esperienza artistica nell’ambito delle migliori tradizioni delle musiche e danze popolari reggine e pellaresi.

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giovedì 25 settembre 2008

I Mgliori video di Tarantelle Calabresi

Tarantella Calabrese con Organetto (Bocale)


Zampogna Organetto e Tamburello


Tarantella Suonata da Bambini


Tarantella Bova Marina


Tarantella Pellaro


Tarantella sul palco


Tarantella Calabrese - 8 year old Boy


Tarantella Calabrese Antonio Serra


Tarantella Calabrese Antonio Serra 2

venerdì 5 settembre 2008

Le Origini della Tarantella Calabrese

http://www.nomadelfia.it/download/Foto/Danze/Tarantella2.jpgLa più antica e quella che discende dal fenomeno del tarantismo. E incontrollata nell'espressione e le sue radici affondano senz'altro nel mondo mediterraneo ed africano.

http://www.comunedibova.it/img/organetto_dis.jpg


Una terza ancora--che a parere di chi scrive comprende anche la "viddhaneddha" o comunque tutte le forme di tarantella danzata a coppie singole -- ha un'attribuzione lontana nel tempo e forse parallela a quella determinata dal tarantismo, ma da questa si differenzia per la ricerca costante di rituali simbolici dall'alto contenuto culturale.

Per riconoscerne l'appartenenza ad uno dei tre filoni bisogna fare quindi delle distinzioni di base.

La tarantella "corale", quella dei gruppi folcloristici per intenderci, si riallaccia presumibilmente ai canoni napoletani nel senso musicale e coreografico, con l'inserimento frequente di momenti interpretativi affidati all'estro ed alle esigenze di spettacolo. Il più delle volte si può parlare di arte e non di folklore.

La tarantella a coppie singole invece, o meglio, le differenti versioni di tarantella che si rifanno alla tradizione calabrese si ricollegano ad espressioni artistiche originate dalla più pura scuola della ~

Questa presunzione di nobiltà si evidenzia maggiormente con l'analisi delle caratteristiche della ~

Giova intanto dire che essa viene in genere, danzata singolarmente a coppie e non in forma collettiva. Inoltre la coppia può essere "mista" (uomodonna) oppure "omogenea" (uomouomo). Sia nell'uno che nell'altro caso e una danza che, pur lasciando una certa libertà interpretativa--priva di codificazioni cioè-- comporta tutta una serie di rituali e di simboliche raffigurazioni che le conferiscono aspetti culturali di tutto rilievo

http://www.italiamerica.org/Tarantella1.jpgUn'attenta analisi dei passi e dei comportamenti mimici dei ballerini ipotizza chiaramente l'origine greca e non latina della "viddhaneddha". La "danza latina" (da cui discendono indirettamente il trescone, il saltarello, la tarantella napoletana, come si e già detto) e innanzi tutto una "danza aerea", nel senso che nella sua manifestazione si presuppone un'esuberanza pantomimica di sicura derivazione popolare con frequenti concessioni a passi acrobatici (il salto quale espressione di gioia e di elevazione, la piroetta ad asse verticale come momento di abilita esibizionistica). In questo caso la danza denota la decisa tendenza a dinamicizzare la composizione coreografica su una dialettica di forze risultante dalla messa in valore delle energie naturali del corpo umano. Non a caso si nota nel danzatore l'assenza di una posizione baricentrica: le braccia e la testa del ballerino sono univocamente coinvolte con le gambe nel movimento dinamico.

La ("danza greca" è invece una "danza di terra", più vicina ai canoni primari della "danza accademica" che non a quelli della "danza libera".

I movimenti del ballerino sono perlopiù ispirati da esigenze mimiche e maggiormente inclini alla libertà gestuale. Il danzatore ha un ideale baricentro alla cintura che sembra separare il corpo in due sezioni tra loro indipendenti nella dinamica. La posizione delle gambe sono combinabili a piacere con quella delle braccia, con costante presupposizione pero della stazione eretta del corpo. Cioè, la testa deve stare sullo stesso asse verticale delle gambe. Il ventre deve, nell'azione della danza, essere rientrato con conseguente sollevamento del diaframma. L'espressione del movimento obbedisce quasi al gioco sistolediastole, tensionedistensione, contrazioneespansione, cadutaripresa dell'equilibrio.

http://www.informagiovani-italia.com/mappa_calabria.jpgNon sono accettati movimenti ed atteggiamenti predeterminati, codificati, tramandabili come vocaboli. Non vi e qualificabilità al di fuori della sua forza espressiva nella quale nasce e muore. Dalla definizione di questi principi scaturisce la radice greca, e quindi arcaica, della tarantella calabrese classica. La brevità dei passi, anche quando indulgono alla velocità, e la quasi immobilità del tronco superiore sono anche caratteristiche del "ballu sarda" e del greco "sirtaki", anche essi di origine mediterranea orientale.

Le occasioni di ballo erano svariate: dalla festività religiosa a quelle familiari (nascita, fidanzamento, matrimonio) a quelle agresti in coincidenza con determinate evenienze (vendemmie, trebbiature, tosature delle pecore, etc.)9.

Anche gli strumenti si rifanno alla tradizione greca: il filo melodico e affidato all'organetto, che sostituisce ormai quasi sempre la "ciarameddha" (zampogna), a sua volta derivata dall'antico aulos (flauto) o diaulos (flauto a due canne) degli italioti. La scansione ritmica e assicurata dal tamburello, originato dal tympanon dalla chitarra (non frequente), dallo "'zzarinu" (acciarino = triangolo di ferro percorso da una bacchetta metallica) dalla "scartagnetta" o "castagnetta" (vale a dire dallo scrocchio delle dita), ad imitazione degli ellenici crotali, oppure dal battito delle mani del ballerino. In talune tarantelle dell'alta e media Calabria si usa ancora una grancassa percossa con un grosso mazzuolo ricurvo.

Nella tarantella calabrese, in genere, vi e l'assenza del canto, al contrario delle altre (sicula e campana). Talvolta la musica viene accompagnata da brevi strofe allusive agli astanti o di incoraggiamento (specie nelle tarantelle a coppie miste), ma quasi normalmente l'unico suono emesso dai ballerini o dai suonatori e uno spagnolesco "ayay" più o meno prolungato o ripetuto che sottolinea la difficoltà o la sottigliezza di alcune figurazioni attirando l'attenzione degli astanti e stimolando la bravura dei ballerini.

IL SIMBOLISMO DEI PASSI

http://www.loscacciapensieri.eu/IMG_3007.JPGMolto più significativo e invece il simbolismo dei passi di danza, sia che avvenga con coppia omogenea che con coppia mista. Chiara appare la connessione della ritualità e della gestualità della "viddhaneddha" con quelle trazionali del codice della 'ndrangheta.

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Prima delle danze si proponeva la delimitazione dello spazio circolare entro cui il ballo doveva aver luogo. Era quasi una rievocazione simbolicospaziale del territorio di appartenenza tribale: il villaggio, il paese, il rione. Finalità recondita ne era la simbolica conquista, il predominio.

A dirigere le danze veniva tacitamente e preventivamente prescelto il capo carismatico: l'uomo di maggior rispetto e di conclamata abilita. A costui era scontata la sudditanza degli astanti. Era questi il "mastru d'abballu" (il maestro di ballo) che alle prime note dei suonatori si disponeva al centro del cerchio, quasi ad avocare su di sé il potere derivante dal suo carisma, e dopo i primi accenni di danza si dirigeva verso gli spettatori fra i quali sceglieva il compagno o la compagna. Lo faceva con un gesto lento, gentile e spavaldo allo stesso tempo, con un lieve inchino e dopo aver salutato toccandosi la fronte con le dita ripiegate della mano destra. Dopo qualche giro si riavvicinava agli astanti e con le stesse modalità invitava a sostituirlo un altro ballerino, occupandone il posto fra il pubblico. Dopo un certo lasso di tempo si reinseriva nella danza sostituendo il primo entrato con la formula: "fora 'u primu" (fuori il primo). Continuava così alternandosi costantemente fino alla fine delle danze.

Non ci si ribellava alla direttive espresse del mastru d'abballi: se ne accettavano umilmente le decisioni. Talora pero questi prevaricava il suo potere favorendo eccessivamente o trascurando ostentatamente qualcuno. In questi casi, purtroppo spesso finiva male. Il presunto offeso non si teneva lo sgarbo e reagiva subito o dopo la festa: erano coltellate o bastonate. Quanta gente moriva così! Furono questi i motivi che indussero il questore protempore di Reggio, negli anni cinquanta, a proibire la tarantella nelle piazze cittadine durante le feste patronali.

Si e detto della delimitazione del cerchio quale simbolico momento territoriale. Vediamo adesso il rituale significato dei passi di danza, soffermandoci primariamente sulla "viddhaneddha" a coppie omogenee (uomouomo). Formata la coppia a comando del mastru d'abballu i due protagonisti iniziavano la danza: quasi un primo momento di studio per la contesa del potere, del possesso del cerchio. I contendenti si disponevano lungo la circonferenza e, guardandosi l'un l'altro, cercavano di imitarsi i passi.

Si giocava di abilita man mano che i suonatori aumentavano il ritmo.

Scopo dei protagonisti era di imporsi spingendo l'avversario verso il centro del cerchio.

I passi erano spesso doppi, ondeggiati per rallentamento del passo corto che batteva in mezzo dei due tempi e campeggiato per sostentamento del primo passo che portava la persona. I movimenti dei due tronconi del corpo, diviso idealmente all'altezza della cintura, erano indipendenti: le gambe aumentavano freneticamente la velocità; il tronco, quasi sempre statico, oscillava lentamente quasi per disorientare l'avversario. A volte un dito veniva puntato verso l'alto in segno di sfida, per "chiamarsi" il posto, cioè il diritto alla supremazia.

Altre volte si cerca di impressionare e disorientare il compagno di ballo con il "soprapasso". E un passo di danza difficilissimo e stressante: consiste nell'intrecciare i passi (si chiama anche "'intricciata") quasi mimando una veloce rincorsa battendo un piede all'esterno dell'altro alternativamente.

Allorché uno dei contendenti riesce a conquistare il bordo del cerchio inizia il "passo 'ill'adornu", cioè il mimo del volo del rapace quando questi cerca di "'nnopiare" la preda (affascinarla per poi piombarle addosso e ghermirla). Il ballerino segue un itinerario spiraloide stringendo sempre più verso il centro l'avversario. Per "'nnopiarlo" (stordirlo distraendolo) alza le braccia ripiegate al gomito sopra le spalle, facendole oscillare lentamente in senso verticale idealizzando il battito delle ali del falco.

L'avversario, se perdente o rassegnato si riduce al centro dell'area e manifesta la sua rinuncia alla lotta rallentando stancamente il ritmo dei passi ed abbassando le braccia. E il momento della vittoria ed il "mastru d'abballu" interviene per rilevare il rinunciatario sostituendolo.

Ma non sempre un contendente si lascia sopraffare dall'altro e cerca di interromperne l'itinerario operando il "tagghiapassu" (tagliapasso) tenendo testa con l'abilita e la velocità dei passi. A questo punto il contrastato, non riuscendo più a passare con le buone, mette in atto la "schermiata" (il duello). Rappresenta il mimo del duello rusticano. Un dito puntato prima verso l'avversario e poi verso il cielo e il segnale d'inizio. I contendenti si dispongono l'uno di fronte all'altro: la mano destra a dita unite raffigura il coltello e compie nell'aria movimenti ondeggianti parabolicamente, pronta al fendente o all'affondo. La sinistra, un po' più flessa, si muove pure più bassa, sia per distrarre l'attenzione dell'altro, sia per essere pronta a parare eventuali colpi. Anche in questo caso lo sconfitto si ritirerà verso il centro lasciando il campo all'avversario.

Nella "danza dei bastoni" lo scontro e apparentemente più cruento e realistico esaltando l'abilita dei contendenti.

Evidenti sono, nel complesso di questi rituali, i richiami ai canoni mafiosi delle consorterie tribali: lo spazio, il predominio, il rispetto per il capo carismatico, il "mastru d 'abballu" identificabile chiaramente con il "mastru 'i jurnata" della gerarchia 'ndranghetistica, etc.

Di concezione diversa, anche se sempre valido e il fine recondito della conquista, e la danza a coppia mista (uomodonna). Si verifica il mimo del corteggiamento. La donna fa ricorso a tutte le sue arti sottili di civetteria, sempre pero discreta e contenuta; vivo dev'essere naturalmente il senso del pudore! E tutta una schermaglia di sguardi, di sottintesi, di desideri appena accennati, di pudori. Anche qui chiaro e il richiamo alla danza greca classica. Non poche sono infatti le testimonianze di forme di erotismo nella danza dovute a crisi femminili che trovavano nell'antica Grecia soluzioni miticorituali nelle pratiche orgiastiche dei culti dionisiaci, oppure in quelle varie forme di erotismo riconducibili al menadismo.

Nella danza a coppia mista uomo e donna si dispongono lungo il bordo del cerchio fronteggiandosi. I primi passi di danza sono lenti: lui fissa negli occhi lei, per intuirne l'assenso; lei guarda basso: un po' per pudicizia, un po' per non farsi sorprendere dai passi dell'uomo, pronta a rispondere con altrettanta abilita. Lei poggia sui fianchi le mani con le palme rivolte all'esterno. E un atteggiamento molto elegante che ricorda le sinuose forme delle anfore greche, ma e anche una posizione densa di civetteria per esaltare i fianchi e la formosità dei seni.

Fatti alcuni giri esterni, la coppia stringe al centro: talvolta lui batte il ritmo con le mani, talvolta sotto il ginocchio della gamba alzata, e cerca di girare intorno alla donna per mimare il corteggiamento. Lei si ritrae, opera il ,"tagghiapassu", oppure piroetta per sfuggire all'assedio e per offrirsi sempre di fronte all'altro. A volte lei solleva un braccio al di sopra della testa facendo la "scartagnetta", scandendo cioè il ritmo con lo schiocco della dita, talaltra gioca facendosi scorrere dietro il collo "u muccaturi" (il foulard) oppure agitandolo davanti al viso dell'avversario. È una sottile allusione alla profferta amorosa, un invito, un incoraggiamento. L'uomo cerca sempre di impressionarla con l'abilita dei passi: cerca di "'nnopiarla" per poi "'nzingarla" o "scapigghiarla" (prendere cioè il fazzoletto della donna ripetendo gli antichi rituali della dichiarazione d'amore che anticamente presso alcune comminuta si manifestavano appunto con la "'nzingata" (segnata) toccando il viso della donna oppure strappando la manica della camicetta; la "scapigghiata" consisteva invece nello scompigliare i capelli della ragazza).

Molte volte la coppia danza spalla contro spalla esprimendo il massimo dell'erotismo attraverso il contatto diretto.

Anche in questo caso il "mastru d'abballu" interviene, spesso su allarmata sollecitazione dei parenti della ragazza o di qualche altro interessato. A volte l'intervento non e gradito e si conclude successivamente in forme cruente di scontro.

La tarantella non ha in genere breve durata: il ritmo aumenta man mano fino ad assumere toni ossessivi e trascinanti grazie anche alla monotonia musicale. I suonatori si eccitano sempre di più anche per lo stimolo del vino che in "bumbuli" di terracotta passa spesso per dissetare e stimolare.

Si è parlato del significato simbolico e rituale dei passi, ma coloro che oggi danzano e sfruttano commercialmente la tarantella forse non lo sanno. Ripetono passi che hanno sempre visti durante i balli degli "antichi" e non sanno, in fondo, di fare cultura perpetuando gesti che furono dei loro avi, da millenni.

È un po' la storia degli artigiani calabresi che riproducono, inconsciamente, nei loro oggetti e nelle loro tecniche aspetti di altre culture molto più profonde e nobili risalenti alle più antiche civiltà mediterranee di cui quella calabrese e discendente diretta.